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 Di Eva Desana e Sergio Scamuzzi

 

Il convegno che si è tenuto il 5 dicembre 2023 presso il Campus Luigi Einaudi dell’Università di Torino è stato organizzato dalla Fondazione Istituto Piemontese Antonio Gramsci, in collaborazione con il Dipartimento di Giurisprudenza e con la Camera di Commercio di Torino per riflettere sull’evoluzione della responsabilità sociale delle imprese e ha coinvolto non soltanto accademici e accademiche ed esperti ed esperte in comunicazione, ma anche alcune imprese ed enti, che hanno portato la loro esperienza.

L’intento è stato quello di sottolineare l’epocale passaggio dalla concezione volontaristica della c.d. Corporate Social Responsibility alla sua obbligatorietà, almeno per alcune società che saranno a breve tenute a presentare, accanto al bilancio di esercizio e a quello consolidato, la rendicontazione di sostenibilità, introdotta dalla recente Direttiva 2022/2464/UE del 14 dicembre 2022 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la rendicontazione societaria di sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive, CSRD)

Si tratta di un tema oggetto di primario dibattito internazionale, prima ancora che nazionale e che sottende un quadro normativo complesso e in continua evoluzione. Esso si intreccia e si nutre di approdi scientifici e implica la soluzione di questioni tecniche, prima ancora che etiche: per fare uno dei tanti esempi possibili, rispetto alla definizione degli esatti contorni della responsabilità delle imprese verso gli stakeholders e, più in generale, nei confronti dell’ambiente, è preliminare l’individuazione di quali siano le emissioni più inquinanti, ma è anche necessario –  con riferimento ai carburanti –  sapere se le auto elettriche contribuiscano a risolvere il problema dell’inquinamento o semplicemente lo spostino altrove, allorquando si tratti di smaltire le batterie elettriche.

Dall’angolo visuale dei giuscommercialisti e delle giuscommercialiste, si assiste all’intersecazione fra regole dei mercati finanziari e regole di diritto societario e fra disposizioni nazionali e ordinamenti sovranazionali, tenuto conto che un intervento circoscritto ai confini italiani rischierebbe di essere vano. E lo stesso apparato normativo è complesso: da un lato, vi è l’Unione Europea che, attraverso il varo di Direttive e Regolamenti, sta progressivamente assumendo il ruolo di pioniera nella battaglia per un futuro sostenibile, ma vi sono anche norme di diritto interno, sia cogenti, sia di natura (tendenzialmente) volontaria, come i diversi Codici di autodisciplina che si sono succeduti sino ad arrivare al Codice di Corporate Governance del 2020, che definisce il successo sostenibile come “obiettivo che guida l’azione dell’organo di amministrazione e che si sostanzia nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società”.

In Francia è stata modificata la nozione di società ad opera della Loi Pacte del 2019 (loi 2019-486 del 22 maggio 2019); in Italia, benché non sia stata toccata la definizione di società – tuttora racchiusa nell’art. 2247 c.c. – non si possono ignorare le modifiche intervenute nella Costituzione, che devono guidare l’interpretazione e applicazione di tutte le norme ad essa sotto-ordinate. Assume pertanto un inequivocabile significato la recente integrazione degli artt. 9 e 41 Cost., con l’ingresso dell’ambiente fra i valori espressamente menzionati e con la nuova enunciazione dei caratteri dell’iniziativa economica privata che “è libera”, ma “non può svolgersi in contrasto” con “l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Si è inoltre arricchito il rinvio alla legge operato dal medesimo articolo per quanto riguarda la determinazione dei programmi e controlli opportuni affinché “l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”. Queste disposizioni, contenute nella Carta Costituzionale, si riverberano sulla stessa definizione di società, contribuendo a illuminarne e arricchirne la definizione codicistica.

Nel nostro ordinamento ha poi avuto grande successo l’introduzione della veste di società benefit, regolata dai commi 376-384 dell’art. 1 della legge di stabilità n. 208 del 28 dicembre 2015: si tratta di una “veste” che può essere indossata da qualsivoglia tipo di società e che implica che la stessa (e dunque anche i suoi amministratori e amministratrici) nell’esercizio dell’attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, persegua una o più finalità di beneficio comune e operi in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interessi. Le società in questione – lo si scriveva nella monografia del 2018, L’impresa fra tradizione e innovazione (Eva Desana) quando ancora il tema non era così di moda – uniscono in modo esplicito allo scopo di lucro l’obiettivo di migliorare il contesto ambientale e sociale nel quale operano, sulla scorta dell’esperienza dell’ordinamento nordamericano in cui è già da tempo presente e regolata dalla normativa di alcuni Stati la benefit corporation.

E ancora, in parallelo all’introduzione della società benefit e in modo – occorre dirlo, purtroppo poco coordinato – si è assistito anche alla ridefinizione della figura di impresa sociale, ad opera della legge delega n. 106 del 2016 e del d.lgs. 112 del 2017.

Anche a livello unionale, il panorama si è significativamente arricchito, muovendo verso la cogenza delle regole in tema di sostenibilità.

Un primo emblematico intervento era già consistito nella modifica della Direttiva contabile n. 2013/34/UE ad opera della Direttiva 2014/95/UE, che aveva imposto alle imprese più significative (banche, assicurazioni e società quotate di maggiori dimensioni) la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e sulla diversità (c.d. Dichiarazione di carattere non finanziario, DNF).

Recentemente è stata varata la citata Direttiva sulla rendicontazione societaria di sostenibilità 2022/2464/UE (CSRD), che imporrà progressivamente non solo alle società quotate, alle banche e alle assicurazioni, ma a tutte le imprese medio-grandi e alle PMI (ad eccezione delle microimprese) che siano enti di interesse pubblico, di includere nella relazione sulla gestione informazioni necessarie alla comprensione dell’impatto dell’impresa sulle questioni di sostenibilità o comunque indispensabili alla comprensione del modo in cui le questioni di sostenibilità influiscono sull’andamento dell’impatto dell’impresa, sui suoi risultati e sulla sua situazione. In altre parole, da ora in poi, per queste imprese la valutazione della sostenibilità o meno della propria attività non sarà più opzionale e non sarà più rimessa alla volontà di qualche illuminato imprenditore – il ricordo va ad Adriano Olivetti che si preoccupava di costruire le fabbriche in modo che vi fosse sufficiente luce, che vi fossero piante e fiori e che si prendeva cura della salute e dell’umore dei suoi dipendenti e delle sue dipendenti – ma sarà imperativa.

Dall’obbligo di redigere la DNF, circoscritto dalla Direttiva 2014/95/UE alle società quotate, alle banche e alle compagnie di assicurazioni di maggiori dimensioni, si passa dunque all’obbligo di fornire una rendicontazione di sostenibilità che riguarderà un numero significativo di imprese. Il cambiamento è epocale anche da un punto di vista lessicale, dal momento che non si tratterà più di una “dichiarazione di carattere non finanziario”, ma di una vera e propria rendicontazione di sostenibilità, che dovrà essere parte della relazione sulla gestione e che varrà quindi, a tutti gli effetti, a completare l’informativa di bilancio, assurgendo allo stesso grado di importanza delle altre informazioni finanziarie.

Accanto alla Direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità, l’Unione Europea ha poi varato altri provvedimenti, fra cui il Regolamento sulla tassonomia e sta per varare altre significative disposizioni, quali la Direttiva sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità, attualmente allo stadio di proposta: sono stati, infatti, approvati il 1° giugno 2023 gli Emendamenti del Parlamento Europeo alla proposta di Direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità e che modifica la Direttiva (UE) 2019/1937 (COM(2022)0071 – C9-0050/2022 – 2022/0051(COD)).

Senza indugiare sul tema, va ricordato il Considerando 4 della proposta, come modificato dal Parlamento Europeo, che scandisce a chiare lettere come “la condotta delle società in tutti i settori dell’economia è fondamentale per il successo degli obiettivi di sostenibilità dell’Unione, in quanto molte imprese dell’Unione dipendono dalle catene globali del valore” e che “tutelare i diritti umani e l’ambiente va anche nell’interesse delle società, in particolare alla luce delle crescenti preoccupazioni espresse dai consumatori e dagli investitori in merito a tali questioni”. Per tali ragioni “esistono già a livello dell’Unione e a livello nazionale diverse iniziative volte a promuovere le società che sostengono una trasformazione orientata a un sistema di valori, compresa una legislazione vincolante in diversi Stati membri come la Francia e la Germania, che comporta la necessità di condizioni di parità per le società al fine di evitare la frammentazione e garantire la certezza del diritto per le imprese che operano nel mercato unico. È inoltre essenziale istituire un quadro europeo per un approccio responsabile e sostenibile alle catene globali del valore, considerata l’importanza delle società in quanto pilastri nella costruzione di una società e di un’economia sostenibili.

Si tratta di temi importanti che sono stati affrontati sottolineando come tutte le imprese siano oggi chiamate a riflettere sulla loro sostenibilità, secondo un trend che si sposta dal piano della volontarietà della CSR a quello della obbligatorietà della relativa rendicontazione e in cui la capacità di comunicazione delle buone politiche assurge a strumento di fondamentale importanza.

Il convegno è stato articolato in due parti, la prima di taglio più teorico e la seconda con un’impronta più pratica, in cui si è scelto di far raccontare alcuni progetti, con l’ambizione che gli stessi possano essere di ispirazione per promuoverne altri, nell’ottica di creare sinergie positive fra istituzioni, enti, imprese, collettività e lavoratori, i cosiddetti stakeholders.

Nella prima parte, dopo i consueti indirizzi di saluto del Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza e della Vice Direttrice alla Terza Missione, di Gian Guido Passoni, Presidente della Fondazione Istituto Gramsci Piemontese e del Vice Presidente della Camera di Commercio e dopo una introduzione di Eva Desana che ha moderato la sessione del mattino, si sono succeduti gli interventi di accademici e operatori.

Sono stati così tenuti gli interventi di Paolo Montalenti (Università di Torino), che ha tracciato il quadro degli ultimi sviluppi in materia di società, mercati finanziari e fattori ESG e di Sabrina Bruno (Unical e Luiss G. Carli), che ha illustrato la proposta di Direttiva UE sulla Corporate Sustainability Due Diligence, delineando i nuovi scenari normativi. Sono quindi seguite le relazioni di Marella Caramazza (ISTUD Milano e Fondazione Cottino), in tema di gestione e valutazione dell’impatto sociale, che si è soffermata sui modelli strategici, le competenze e le metriche di misurazione, portando l’esperienza del Centro di Competenze per la Misurazione dell’Impatto e di Laura Corazza (Università di Torino – Dipartimento di Management), che ha tracciato l’evoluzione dalla rendicontazione di impatto sociale all’engagement degli stakeholder.

La sessione del mattino è proseguita con tre interventi: Davide dal Maso (Avanzi, Torino social impact) ha introdotto il tema della Borsa dell’Impatto Sociale e il progetto di un mercato di capitali come strumento per valorizzare la generazione di impatto sociale; Cristiana Rogate, Refe – Strategie di sviluppo sostenibile, ha raccontato di come le imprese siano chiamate a integrare la sostenibilità nel business, nella governance, nei sistemi di management e nella comunicazione; infine, Igor Piotto (Segreteria provinciale Cgil) si è soffermato sulle responsabilità sociali dell’impresa verso i dipendenti e le filiere, indicando alcune nuove prospettive dell’azione sindacale.

Nella sessione pomeridiana, introdotta a coordinata da Sergio Scamuzzi, si è dato spazio a un breve dibattito, preceduto da un intervento dell’onorevole Brando Benifei, che ha tracciato il quadro delle iniziative europee in materia, facendo cenno anche alla discussione in atto al Parlamento Europeo in ordine alla proposta di regolamento sull’intelligenza artificiale, tema che si interseca con quello della gestione sostenibile delle imprese.

Si è quindi proceduto alla narrazione di alcuni progetti da parte di imprese e enti.

Sono intervenuti Raoul Romoli Venturi, Direttore Comunicazione Ferrero, che ha illustrato l’approccio del relativo gruppo, da anni attento alla sostenibilità ed Enrico Nada, Responsabile progetti e attività sociali della Nova Coop che ha raccontato alcune iniziative con forte impatto sociale; è seguita la testimonianza di Marco Piccolo, CEO Reynaldi, che ha portato l’esperienza del relativo gruppo e richiamato alcune iniziative ad elevato impatto sociale sui Paesi in via di sviluppo. Hanno quindi preso la parola Virginia Vergero, Responsabile partnership e comunicazione Gruppo Vergero e Nunzia Giunta, AD e cofondatrice Uomo & Ambiente, che hanno riportato le interessanti esperienze dei relativi gruppi, incentrate sull’attenzione alle persone.

Hanno chiuso la sessione Carola Carazzone, Segretario Generale di Assifero, che ha raccontato il progetto Future Chair, volto a promuovere la presenza delle giovani generazioni nei tavoli in cui vengono assunte le decisioni e Fabio Guida, Direttore Graphic Days, che ha illustrato alcuni progetti di comunicazione sociale di enti e imprese.

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