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di Dunia Astrologo

 

In occasione del decimo anniversario dalla morte di Adalberto Minucci l’Istituto piemontese Antonio Gramsci organizzò una giornata di studi (che si è svolta il 17/11/2022) dedicata alla sua memoria, focalizzandone l’agenda sugli anni in cui egli operò, in diversi ruoli, in Piemonte[1].

A valle di quella iniziativa è stato pubblicato un libro che raccoglie le testimonianze di chi partecipò all’iniziativa e alcuni importanti documenti contenuti nell’archivio dell’Istituto Gramsci[2].

Considero questo testo una somma di stimoli e di ispirazione. […] Lo considero un documento fondamentale perché le riflessioni che Alexander Höbel sviluppa nel saggio introduttivo, le testimonianze e il materiale documentario pubblicati toccano temi che erano all’ordine del giorno negli anni ’50-’70 del secolo scorso e che, pur a valle delle grandiose trasformazioni dell’economia e della società prodottesi alla fine di quel secolo e nel primo quarto di questo, sono tornati prepotentemente in scena, senza però che vi si sia sviluppato attorno un serio e profondo dibattito di natura politica come quello che caratterizzò gli anni tardo novecenteschi.

Minucci che dal 1954 viene a vivere a Torino – prima come redattore dell’Unità, diretta allora da Luciano Barca, con l’incarico di occuparsi di industria e condizione operaia, poi come segretario della Federazione torinese del PCI – vi resta fino a quando nel 1977 viene chiamato a dirigere Rinascita e a svolgere incarichi politici sempre più rilevanti nella segreteria del Partito. Molto legato a Berlinguer, dopo la sua morte avrà un ruolo meno centrale nella dirigenza del PCI, di cui resterà tuttavia parlamentare, fino a quando il Partito comunista esisterà. La svolta della Bolognina, lo vede contrario allo scioglimento del PCI che tuttavia avverrà. Da allora in avanti non cesserà di impegnarsi in politica e soprattutto di continuare a riflettere sui temi che gli sono stati più cari: la trasformazione del lavoro e dell’organizzazione produttiva capitalistica sotto la spinta dell’incessante sviluppo tecnologico. Non a caso l’ultimo suo libro, del 2008, è intitolato “La crisi generale tra economia e politica: una previsione di Marx e la realtà di oggi”[3], un testo che si interroga su come l’ingresso potente, o prepotente, della scienza e della tecnica nella produzione potesse essere una leva per potenziare la classe operaia – di cui in questo inizio del secolo egli vedeva ancora una importante presenza – piuttosto che una minaccia per la sua esistenza.

È un interrogativo ineludibile per noi oggi, quando la digitalizzazione di quasi ogni relazione sociale e il crescente dominio dell’automazione, nelle sue forme soft e hard, nei processi produttivi e di business stanno trasformando l’organizzazione, le caratteristiche socio-produttive e la valorizzazione stessa del lavoro.

Per capire davvero cosa stia accadendo nel mondo del lavoro e nella forma economica dell’attuale tecno-capitalismo dovremmo ricominciare a studiarlo, come faceva Gramsci negli anni ’20 del Novecento, e come, memori di quell’insegnamento, facevano i dirigenti politici e sindacali negli anni ’50, anni di grandi trasformazioni del tessuto industriale italiano e di contrasti formidabili tra il padronato e le organizzazioni dei lavoratori.

[…]

Dopo lo scioglimento del PCI e la sua presa di distanza dalle formazioni politiche che si svilupparono dalla adesione a quella scelta, Minucci continuò a lavorare e studiare e produrre riflessioni sempre estremamente interessanti sui temi delle trasformazioni sociali, tenendo d’occhio anche quelle che stavano emergendo nel mondo virtuale della comunicazione, come notava già nel 1989: “Anche l’ideologia […] può essere presentata, attraverso il gioco dell’immagine, come un dato “oggettivo”. Essa appare come incorporata nello stesso mezzo di produzione/comunicazione […] nella forma pervasiva dell’immagine e della politica-spettacolo…”[6]:

Dell’attività politica ma anche delle caratteristiche personali e umane di Minucci sono intrise le testimonianze di Ardito, Dameri, Ferrero, Gianotti, Negri, pubblicate in questo testo. Personalmente lo ricordo come un uomo che sprizzava energia e intelligenza da ogni poro, cordiale ma molto autorevole: sarà stato che ero molto giovane, piccoletta e lui così grande e importante! A parte questa scivolata nel personale, forse la sintesi migliore la fa Giovanni Ferrero quando, interrogandosi sulle ragioni del debito di stima e riconoscenza nei suoi confronti, scrive “per la sua lettura originale del marxismo, per il suo coraggio intellettuale e il suo impegno nel comprendere la realtà… In concreto, per la sua concezione dell’attività politica intesa come vertice del lavoro intellettuale, come passione che cementa i rapporti nonostante i dissensi e che è motore di cambiamento della società.”[7]

Credo che questo interesse e tutta la produzione intellettuale e politica di Minucci, ricordata nel saggio introduttivo di Höbel, rappresentino una eredità da far rivivere. Un testimone da prendere e portare avanti seguendo l’invito di un altro grande intellettuale legato al PCI e all’Istituto Gramsci piemontese, Claudio Napoleoni: cercate ancora!

[potete leggere la recensione integrale sulla rivista online La Porta di Vetro]

 

Note

[1] https://www.gramscitorino.it/events/un-grattacielo-nel-deserto-la-lezione-di-adalberto-minucci-oggi/

[2] Istituto piemontese A. Gramsci “Fare politica tra cultura e impegno civile: la lezione di Adalberto Minucci” a cura di M. D’Ambrosio, Torino 2024.

[3] A. Minucci “La crisi generale tra economia e politica: una previsione di Marx e la realtà di oggi” Voland 2008

[4] In “Fare politica…” cit., pp.35-55

[6] In “I comunisti e l’ultimo capitalismo”, citato da Alexander Höbel “Da Marx a Berlinguer passando per Gramsci. Adalberto Minucci, comunista italiano” in “Fare politica…”cit., p.27

[7] In “Fare politica…” cit., p.65

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